Luciano Ligabue – Una storia. Autobiografia

È trascorso oltre un quarto di secolo da quando, in piena adolescenza, mi innamorai della musica di Luciano Ligabue. Erano gli anni in cui il suo disco di maggiore successo, quel “Buon compleanno Elvis” sospeso fra blues, rock e persino un tocco di valzer, veniva riprodotto in heavy rotation sulle radio, proiettando l’artista nell’olimpo dei musicisti italiani più apprezzati. In quelle quattordici tracce, schiette e liquorose come un buon vino popolare, Ligabue coniugava la propria verve innata con la sopraggiunta maturità compositiva, divertendo e conquistando un pubblico sempre più appassionato. Tutti, all’epoca, conoscevano e canticchiavano canzoni come “Vivo, morto o X”, “Viva”, “Leggero” e, soprattutto, “Certe notti”. Una mattina, al liceo, un professore se ne uscì con l’espressione «vivo o morto» e noi alunni rispondemmo in coro «o X!» Giusto per dire quanto le teste di noi adolescenti fossero piene, pervase, plagiate e conquistate da quella musica. E il trentenne Ligabue per noi era una sorta di fratello maggiore, con fame di affermazione, grinta da vendere e una bella faccia tosta. Sfornava un singolo di successo, poi un altro e un altro ancora, dominava le classifiche e presto avrebbe cominciato a far tremare gli stadi, a partire dal quel San Siro, a lungo agognato, in cui si esibiva l’Inter, la sua squadra del cuore. Qualche tempo dopo cominciai a suonare la chitarra e, per esercitarmi con gli accordi, acquistai un’antologia contenente gli spartiti musicali dei suoi pezzi più belli. Uscii dalla mai dimenticata Ricordi, a Torino, con un tomo dalla copertina dorata sottobraccio, mentre un amico mi incitava a mostrarlo il più possibile, per darmi un tono davanti alle ragazze.

Da allora ho ascoltato fiumi di musica e i miei orizzonti si sono ampliati e trasformati, così come i miei gusti. Oggi quelle canzoni dirette e genuine mi appaiono un po’ invecchiate ma, quando mi capita di ascoltarle con la dovuta attenzione, mi catturano riportandomi indietro negli anni, riuscendo a rinnovare antiche emozioni, sensazioni e pensieri con una nitidezza sbalorditiva. Non mi piacciono tanto per quello che sono, ma per l’effetto nostalgico che suscitano.

Qualche sera fa vado in libreria a curiosare e sullo scaffale all’ingresso campeggia nientemeno che l’autobiografia di Ligabue, fresca di stampa. Un bel mattoncino da quattrocentosessanta pagine, con in copertina un giovane di venticinque anni dalla folta chioma scura, gli occhi che esprimono una serena determinazione, quella di chi sente di avere una qualche missione da compiere nella vita, e nello stesso tempo tradiscono timidezza, introversione e desiderio di riscatto.

Apprezzo molto le biografie dei musicisti, perché sono avventurose, piene di aneddoti spassosi, di prove di coraggio e dimostrazioni di incoscienza, di sogni che si infrangono e si avverano, di allergia al conformismo, di una forse inconsapevole ricerca di sé, o almeno dei propri talenti. E poi è sempre stimolante scoprire chi si cela dietro la maschera pubblica, entrare in contatto, per quanto possibile, con la complessità e le contraddizioni insite nella persona reale.

E così, senza pensarci due volte, ho acquistato l’autobiografia di Ligabue, che nasce in provincia di Reggio Emilia il 13 marzo del 1960, vent’anni prima di me. «Il paese in cui sono nato, Correggio” scrive in uno dei primi paragrafi, “ha un nome che non consentirà mai l’elezione di una miss». L’incipit chiarisce qual è la chiave di lettura più adatta per apprezzarne l’ultima fatica. Sembra che sia lì per dichiarare: riflettete su quanto sto per raccontarvi, emozionatevi pure, se proprio volete commuovetevi e ridete, ma non prendetemi troppo sul serio. Questa è solo la mia storia, quella di un uomo che scopre di possedere un talento naturale, grazie al quale potrà assaporare grandi soddisfazioni che però non lo metteranno al riparo dalle delusioni della vita. Qui dentro ci saranno entrambe.

A me questo libro è piaciuto un sacco e molto è dovuto allo stile di scrittura, cristallino, pastoso, intriso di umorismo, toccante ma sempre entro certi limiti. L’iniziale patto sulla leggerezza non viene mai meno, anche durante la narrazione degli episodi più intensi. E non mancano aneddoti gustosi, che non voglio anticipare ma che non mi sarei mai aspettato di leggere, e che tradiscono un’inquietudine giovanile, ma anche una vitalità e spacconeria, davvero niente male. Probabilmente la lettura migliore dell’ultimo anno.

Informazioni su Fabio Saracino

Sono un cicloturista per passione e viaggio in bici dal 2008. Nel 2017 ho compiuto il viaggio più lungo, 3500 km nelle isole maggiori e Sud Italia, a seguito del quale ho scritto un libro, "Ciclodiario - Viaggio su due ruote alla scoperta del Sud", che è stato pubblicato dalla casa editrice Ultra (Castelvecchi) e si può acquistare in libreria, anche online
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